"Il lavoro nella società che cambia"
il nostro teamNel 1962 Kahn-Freund invita Gino Giugni, giovane studioso italiano, a Londra per partecipare a un convegno patrocinato dal British institute of international and comparative law. È l’inizio di un’intensa collaborazione, che consente a Giugni di entrare in un circolo elitario di giuristi del lavoro provenienti da vari Paesi e di praticare il diritto comparato del lavoro, seguendo un metodo originale che egli stesso contribuisce a creare. Il Comparative labor law group pubblica, dal 1969 al 1978, tre volumi in lingua inglese, frutto di una riuscita circolazione di idee fra studiosi provenienti da culture giuridiche differenti (ne dà conto uno dei partecipanti all’impresa, Benjamin Aaron, in The comparative labor law group: a personal appraisal, «Comparative labor law», 1977, pp. 229 e segg.).
La comparazione domina, con diversi accenti, l’intera opera di Giugni. Nel costruire la teoria dell’ordinamento intersindacale, l’influenza dell’esperienza nordamericana si avverte nell’attenzione rivolta a fonti extrastatuali e nella ricerca di un diritto arbitrabile, oltre che giustiziabile. Inoltre, attraverso Kahn-Freund, Hugo Sinzheimer e Karl Renner, la comparazione appare euristicamente orientata a fornire nuove letture del dato normativo italiano, nell’attesa dell’attuazione dell’art. 39 della Costituzione (Introduzione, cit.).
In Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro (1963), Giugni, giurista dogmatico e tuttavia edotto circa gli sviluppi della contrattazione collettiva, dispiega le sue competenze nello studio sulle mansioni e le qualifiche dei lavoratori, seguendo uno schema che rompe i canoni esegetici tradizionali e che prefigura una profonda riforma della materia. I limiti allo ius variandi del datore di lavoro sono tracciati, con riferimento all’esperienza statunitense della job evaluation (da lui studiata negli anni trascorsi all’IRI), attraverso una puntigliosa ricostruzione dei contenuti dinamici delle mansioni, dedotte nel contratto individuale di lavoro in consonanza con gli sviluppi della contrattazione collettiva e con le trasformazioni dell’organizzazione del lavoro. La qualifica, descritta come «variabile semantica» delle mansioni, dimostra un’attenzione all’equilibrio dei poteri nel contratto di lavoro, utile per affermare il principio della corrispettività della retribuzione a fronte di mutamenti nell’oggetto della prestazione di lavoro.
Il tema parallelo delle categorie dei prestatori di lavoro, quasi a completamento di un quadro organico che raccoglie i contenuti della prestazione lavorativa e gli strumenti contrattuali che meglio ne definiscono l’evoluzione, è affrontato in chiave comparata in Le categorie dei prestatori di lavoro: panorama comparativo («Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1966, pp. 844-92), un rapporto generale che Giugni presenta al congresso internazionale di Stoccolma del 1966.
Le sue conoscenze del quadro europeo e dell’ordinamento nordamericano sono ormai diffuse e la padronanza del metodo comparato si rafforza, anche a seguito dell’esperimento condotto per la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) su impulso della sua Alta autorità (L’evoluzione della contrattazione collettiva nelle industrie siderurgica e mineraria, 1953-1963, 1964).
Il saggio Organizzazione dell’impresa ed evoluzione dei rapporti giuridici. La retribuzione a cottimo («Rivista italiana di diritto del lavoro», 1968, 1, pp. 3-85) rappresenta una nuova sfida rivolta alla dottrina tradizionale, troppo cauta nel cogliere le peculiarità organizzative che sottendono alle diverse funzioni del contratto d’opera e del contratto di lavoro subordinato. Qui Giugni entra nel merito dell’organizzazione tayloristica del lavoro, per recuperare all’analisi giuridica lo studio delle tecniche retributive, intese come manifestazione del potere direttivo. Anche in questo caso si afferma, e in modo ancora più netto, la personalità di un autore che segue un percorso non conformista. I contenuti della contrattazione collettiva pervadono l’indagine, ulteriormente arricchita da riferimenti a prassi e usi aziendali.
Il terreno è ormai dissodato, pronto per la verifica di un metodo sperimentale che serva a illustrare la formazione extralegislativa del diritto del lavoro. All’interno di un progetto di ricerca finanziato dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), Giugni coordina gli allievi della scuola barese, cui assegna il compito, insolito per l’accademia italiana, di fondare su dati empirici ipotesi teoriche e dottrinarie (M.L. De Cristofaro, La giusta retribuzione, 1971; B. Veneziani, La mediazione dei pubblici poteri nei conflitti collettivi di lavoro, 1972; G. Veneto, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, 1974).
È sempre una comparazione euristicamente orientata quella che guida Giugni nelle stanze del ministero del Lavoro. Filtrata dallo studio della legislazione roosveltiana e dalla lezione di Kahn-Freund, la suggestione di una legislazione di sostegno all’attività sindacale nei luoghi di lavoro si traduce nella stesura dello Statuto dei lavoratori, avviata con Giacomo Brodolini e completata, dopo la morte di questi, con Carlo Donat Cattin. La sintesi fra diritto e politica trova in quella legge un’espressione equilibrata. L’ordinamento intersindacale è sufficientemente maturo per comunicare con l’ordinamento generale e rafforzare le sue radici, nel solco di una dottrina che si esprime consapevolmente nella «politica del diritto» (Il diritto sindacale e i suoi interlocutori, «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1970, pp. 369 e segg., poi in Lavoro, cit., pp. 183-91). La compressione dei poteri del datore di lavoro diviene tutela sempre più puntuale dei diritti della persona nei luoghi di lavoro, dove pure si rendono concrete tutela della libertà sindacale e sostegno all’attività sindacale, in continuità con il precetto costituzionale.
In questa sua prima impresa a fianco del legislatore, Giugni riversa l’esperienza accumulata nelle molte e fortunate edizioni, a partire dal 1975, del manuale Diritto sindacale. Il libro, fra i primi in Italia a proporre una trattazione coerente di un settore fra i più dinamici del diritto del lavoro repubblicano, verrà ancora ristampato nel 2010, curato e aggiornato da allievi della scuola barese.
Gli anni della crisi dello Stato sociale. Negli anni della crisi dello Stato sociale, sulla scorta di un metodo comparato intessuto con la teoria del diritto, Giugni si interroga sui percorsi della giuridificazione nel diritto del lavoro, sollecitato dalle analisi di Niklas Luhmann, Jürgen Habermas e Gunther Teubner (Giuridificazione e deregolazione nel diritto del lavoro italiano, «Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali», 1986, pp. 317 e segg., poi in Lavoro, cit., pp. 337-65).
Giugni è, come sempre, ben attrezzato nell’offrire un quadro problematico delle tecniche regolative messe in campo dal legislatore e dai soggetti collettivi, in risposta alla crisi della produzione normativa. Non solo egli descrive dettagliatamente la formazione «alluvionale» del diritto del lavoro «dell’emergenza» (Il diritto del lavoro negli anni ’80, «Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali», 1982, pp. 373-409, poi in Lavoro, cit., pp. 293-335), ma contribuisce anche ad aggiungere un tassello al già ampio mosaico dell’autonomia collettiva, teorizzando e praticando la concertazione sociale nella forma della legislazione negoziata. È sua la regia che conduce governo e parti sociali al cosiddetto protocollo Scotti del 1983.
L’avere agito, in quegli anni turbolenti, come tessitore del consenso, attira sulla sua persona l’attenzione di terroristi armati. L’attentato di cui è vittima nel maggio 1983 crea sconforto nell’intera comunità scientifica, ma non piega lo spirito critico né l’immaginazione di Giugni, avviato, dopo quella dura esperienza personale, sul cammino di una più intensa attività politica.
L’interprete del diritto vivente in continua trasformazione, il teorico dei molti fenomeni di giuridicità spontanea che emanano dall’azione dei gruppi organizzati, il promotore instancabile del consenso sociale, calca la scena di anni difficili e ribadisce, quasi a voler proseguire un dialogo a distanza con un suo interlocutore privilegiato (Tarello 1967), che nel fare politica del diritto il giurista non è asservito né soggiogato dalla classe politica, ma attinge consapevolmente e criticamente dalle sfere sociali che osserva, per rinvigorire i valori costituzionali e creare cultura politica (Lavoro, cit., p. 219).
Con questo spirito, a fianco del presidente del Consiglio Ciampi, conduce una complessa trattativa con le parti sociali, sfociata nella firma del protocollo del 1993. Questo documento, elogiato da più parti quale sintesi equilibrata di principi costituzionali in divenire, è, ancora una volta, il frutto di un’abile mediazione, che lega le politiche del lavoro e la razionalizzazione del sistema di contrattazione collettiva alle scelte macroeconomiche e di bilancio, necessarie per l’ingresso dell’Italia nella moneta unica.
Paolo Grossi, nelle pagine finali di un suo libro (Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, 2000), nel dare conto dei «sentieri fertili della riflessione giuslavoristica» alla fine degli anni Cinquanta riconosce a Giugni il merito «liberante» di aver saputo calare la lezione di Tullio Ascarelli dentro lo studio di un diritto vivente in formazione, qual era da intendersi il diritto del lavoro dei primi anni Sessanta (pp. 316-17).
È questo stesso storico del diritto che, a distanza di alcuni anni (Grossi 2007), approfondisce ulteriormente il nesso culturale e metodologico che lega Giugni ad Ascarelli, per affermare in modo ancora più circostanziato la specifica e dirompente personalità del giuslavorista ‘normativista’, attento a interpretare dinamicamente le fonti extrastatuali e a riconoscerne una funzione ordinatrice degli interessi in gioco.
Questo è, certamente, il messaggio di grande attualità che si coglie nell’opera di Giugni. L’evoluzione del diritto del lavoro segue gli eventi dell’economia e per certi aspetti ne determina alcuni orientamenti. L’autonomia disciplinare della materia è, tuttavia, salvaguardata, se non addirittura accresciuta, dal costante richiamo a fatti normativamente apprezzabili, prodotto di un ordinamento originario e, proprio per questo, ricco di riscontri per l’interprete.